La sfida. Il problema di misurare gli aspetti non quantitativi ci perseguita da sempre. Una pietanza che io giudicherei buona, per te potrebbe essere appena passabile, così come potrebbe essere per un’esperienza in un Centro Commerciale o in un negozio.
Come possiamo valutare la qualità della customer experience? Come possiamo sapere se i nostri clienti sono realmente soddisfatti? Come possiamo comunicare i nostri risultati ad altri o fare paragoni con il passato, se non abbiamo parametri oggettivi?
Attualmente gli strumenti che vengono utilizzati per questo scopo sono diversi, ciascuno con vantaggi e svantaggi.
The customer’s perception is your reality.
[Kate Zabriskie]
Interviste e questionari. Tra gli strumenti di indagine sul grado di soddisfazione troviamo le interviste e i questionari, con i quali si chiede al cliente di dare voce, in forma anonima, alle proprie opinioni.
Nei questionari l’esperienza complessiva di acquisto viene tipicamente scomposta in vari aspetti, ciascuno analizzato con una o più domande: competenza del personale, reperibilità del prodotto, rapporto qualità/prezzo,…
Le domande aperte, difficilmente analizzabili, sono state progressivamente sostituite da questionari di tipo scalato e di tipo chiuso, nei quali è possibile esprimere il grado di soddisfazione su scale precostituite oppure scegliere una o più di una tra le opzioni fornite.
In sintesi, si fa tutto quanto si può per rendere oggettivo ciò che in realtà non lo può essere, ovvero la percezione individuale.
Con i questionari andiamo a chiedere alla fonte, al cliente stesso, cosa pensa. Benissimo! Eppure, non è possibile interprellarli tutti, per vincoli di tipo temporale ed economico. Quindi, come spesso si fa, occorre selezionarne una parte e ipotizzare che questa rappresenti i clienti nella loro interezza, ovvero cercare di avere un campione sufficientemente numeroso e rappresentativo dell’intera popolazione.
Ma comunque, chi ci assicura poi che il cliente dica ciò che pensa realmente? Le interviste sono state condotte nel modo corretto o sono state in qualche modo manipolate? E coloro che hanno rifiutato di sottoporsi al sondaggio (perché ce ne sono sempre) hanno variato la rappresentatività originaria del campione?
Le possibili fonti di compromissione delle informazioni rilevate sono molteplici e a volte si trovano in “posti” insospettabili. Per esempio, le ricerche dimostrano che cambiare l’ordine alle domande di un questionario può portare a risposte diverse, in quanto induce l’intervistato a seguire un determinato percorso mentale piuttosto che un altro. Anche il luogo, il momento della giornata e la modalità di somministrazione (di persona o tramite e-mail) possono incidere sui risultati.
La non oggettività delle risposte si potrebbe facilmente testare chiedendo ad alcune persone quale risposta abbiano fornito a una determinata domanda, qualche ora dopo essere state sottoposte a sondaggio. Sorprendentemente, la percentuale di coloro che rispondono correttamente in merito alla loro stessa risposta, non è del 100%. Chi ha risposto con un voto 7 su una scala da 1 a 10, non è così raro che dica di aver indicato 6 oppure 8. Non è solo mancanza di memoria, è anche scarsa oggettività della quantificazione di una percezione di tipo qualitativo, che dipende da una serie di fattori non scindibili in modo rigido gli uni dagli altri.
Possiamo sforzarci il più possibile, ma questa fonte di alterazione non verrà mai totalmente eliminata, è insita al nostro percepire di esseri umani. Eppure, lavorando con numeri sufficientemente grandi e con le opportune modalità, i dati ottenuti da questionari producono complessivamente informazioni significative, che possono essere tradotte in azioni efficaci.
Mystery shopping. Proviamo ad analizzare un altro strumento: i mystery shopper. Queste figure sono “finti clienti” che, come spie in incognito, valutano la qualità di una certa realtà commerciale. I mystery client sono appositamente formati per giudicare in modo oggettivo una serie di parametri: ambiente, cortesia e disponibilità del personale, esposizione dei prodotti, rispetto delle procedure, …
Eppure, anche qui abbiamo delle criticità:
i mistery shopper sono comunque esseri umani e quindi la loro oggettività non può che essere limitata;
potrebbero non essere così motivati a svolgere bene il compito che è stato loro assegnato, visto che talvolta si tratta di un lavoro occasionale;
non sono veri clienti;
la loro presunta soddisfazione è stata in qualche modo manipolata da coloro che hanno affidato l’incarico;
è una tecnica molto onerosa.
Trust the (right) data. Beh, cosa ci resta? Diamo un’occhiata ai dati in nostro possesso. Potremmo analizzare le vendite e il loro andamento. Potremmo confidare sul fatto che, se queste salgono, significherà che i clienti sono maggiormente propensi all’acquisto, quindi la loro esperienza è di qualità. E viceversa.
Eppure, l’ammontare delle vendite e l’esperienza di acquisto dei clienti non sempre correlano positivamente: non è detto che, all’aumentare della qualità dell’esperienza corrisponda un aumento delle vendite.
Infatti, potrebbe capitare che l’esperienza del cliente sia positiva ma le vendite siano basse e viceversa. Le possibili situazioni sono riassunte nel grafico seguente.
Se gli scenari in verde risultano intuitivi, non si può dire altrettanto per quelli in rosso, che comunque possono verificarsi. Per capire questi ultimi, i dati delle vendite non sono sufficienti: serve il footfall, ovvero il contapersone.
Se c’è un grande afflusso di persone, la customer experience potrebbe peggiorare in quanto i commessi sono oberati di lavoro e non riescono a rispondere a tutte le richieste dei potenziali clienti. Le vendite complessive potrebbero essere comunque alte, semplicemente per il gran numero di persone coinvolte (situazione 1).
Se c’è poco traffico, l’esperienza potrebbe migliorare perché i commessi sono immediatamente disponibili e hanno più tempo da dedicare a ogni cliente, ma ciò potrebbe non generare un aumento delle vendite: potremmo avere una percentuale maggiore di persone entrate in negozio che fa acquisti, ma sono comunque complessivamente poche perché questo incremento nella percentuale degli acquirenti sul totale degli entrati possa tradursi in un aumento delle vendite (situazione 4).
Quindi? Quindi la risposta si trova nel conversion rate, ovvero la percentuale di persone che da visitors decidono, acquistando, di diventare clienti.
In generale, le vendite sono funzione di traffico, conversion rate e ammontare dello scontrino medio, ma l’esperienza del cliente non correla direttamente con le vendite. La correlazione tra conversion rate e customer experience è indubbiamente maggiore: più l’esperienza è buona e maggiore sarà il conversion rate; se invece l’esperienza di acquisto peggiora, allora ne risentirà anche il conversion rate.
In sintesi, dall’analisi congiunta di traffico e conversion rate si può vedere se l’esperienza di acquisto peggiora a causa dell’inadeguatezza dello staff, come numero e/o come performance di vendita. Se così è, questa consapevolezza può essere tradotta in un’azione concreta data-driven: cambiare i turni del personale.
La vittoria è nel gioco di squadra. Ma possiamo fidarci ciecamente dei dati? Ovvero, leggendo solo i dati possiamo trarre conclusioni generali e sicure? Chi ci dice che, nella situazione in cui sembra ci sia carenza di staff, l’esperienza di acquisto non sia peggiorata dal fatto che le casse disponibili sono insufficienti e quindi una fila eccessivamente lunga demotivi gli acquisti? Se questa fosse la reale causa, un cambiamento dei turni di personale sarebbe del tutto inutile.
Secondo Microlog la miglior strategia da seguire è quella di lasciarsi guidare dai dati per poi approfondire con altre tecniche: i dati potrebbero segnalare le situazioni che sarebbe meglio indagare e, con questionari e/o mystery shopper, si potrebbe fare un’analisi approfondita sul campo.
Installare il contapersone consente quindi di capire dove e quando sia opportuno indagare, al fine di comprendere se e come sia possibile migliorare la propria performance di vendita. Grazie al contapersone è dunque possibile ricorrere a mystery client e/o a questionari solo quando necessario, perché sono tecniche molto utili ma onerose.
L’unione fa la forza! E in questo caso, anche il risparmio!
Your most unhappy customers are your greatest source of learning.
[Bill Gates]
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